Alla ricerca della prima canzone rap in italiano: l’ipotesi Truzzi Broders

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7 min readJan 4, 2024

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di Riccardo Sarà

I Truzzi Broders

Premessa: si fa per divertimento, non importa chi siano stati realmente i primi. Ma se la prima canzone rap in italiano l’avessero incisa i mitici Truzzi Broders?

«Senti come suona»: il rap in Italia

La cultura hip hop arriva in Italia nel corso degli anni Ottanta, all’inizio tentando di imitare lo stile statunitense. Non bisogna pensare solo alla musica, ma ai quattro elementi: il rap e il turntablism (l’arte dei dj), ma anche la danza (il breaking) e i graffiti. Nascono le prime crew, tra le più note i Radical Stuff, in cui militano due personaggi centrali per il rap italiano: Dj Gruff e Kaos One. E presto gli esperimenti rap prendono due linee diverse: da un lato chi rimane più fedele alla cultura americana (quello che il critico musicale Pierfrancesco Pacoda ha definito “rap del muretto”), dall’altro chi cerca di adattare i principi hip hop alla realtà italiana. Questo secondo filone è quello che riguarda la storia delle posse, collettivi politici e musicali, che trovano nel rap lo strumento per cantare la propria rabbia, i propri messaggi e le proprie storie. Se negli Stati Uniti l’hip hop era nato ai margini delle città e della società, all’interno della comunità afroamericana, in Italia nasce soprattutto ai margini della politica, nei centri sociali, tra i ragazzi e le ragazze che cercano i propri spazi in una realtà che non li rappresenta.

La copertina di “Batti il tuo tempo” degli Onda Rossa Posse

«Recito la rima come nessuno prima»: Onda Rossa Posse

È impossibile ovviamente dire chi per primo abbia fatto musica rap in italiano, ma si può provare a ipotizzare quale sia stata la prima incisione in italiano. Se si parla di hip hop, quindi non semplicemente di rap come tecnica di canto ma anche con un senso di appartenenza alla nuova cultura emergente, di solito la risposta è unanime e ci porta al 15 giugno 1990 quando esce Batti il tuo tempo degli Onda Rossa Posse.

Si tratta di un collettivo che fa riferimento al movimento studentesco della Pantera, agli ambienti romani di Autonomia Operaia (Batti il tuo tempo è stata registrata al 32 di via dei Volsci) e al Forte Prenestino. Dal gruppo nasceranno poi altri progetti, il più solido dei quali sono gli Assalti Frontali, tuttora in attività. La canzone è una denuncia della repressione dello stato e un invito a ribellarsi al potere e fa decisamente scuola, sia a livello musicale (la potenza dei messaggi cantati sul beat è qualcosa di diverso da tutta la musica precedente) sia a livello produttivo (ha una diffusione enorme considerando che è un’autoproduzione).

«Il preside da noi lo chiamiamo deejay»: da Celentano a Jovanotti

E se invece provassimo a cercare il primo rap in italiano, anche al di fuori della cultura hip hop? Questo è decisamente più difficile, basta pensare che nel 2009 in seguito a un articolo del blogger canadese Cory Doctorow, molti hanno sostenuto che Prisencolinensinainciusol, canzone del 1972 di Adriano Celentano, potesse essere addirittura il primo rap della storia. Ma è una teoria difficile da dimostrare e in ogni caso il testo non è in italiano, ma in un linguaggio totalmente inventato che per il Molleggiato doveva trasmettere “amore universale”.

Screenshot del video di “Prisencolinensinainciusol” di Adriano Celentano

Si può pensare allora a Jovanotti, fenomeno commerciale fondamentale per la diffusione del rap in Italia, anche se mai considerato parte della scena hip hop. Il suo primo album con sonorità che imitano il rap americano si chiama Jovanotti for President, è del 1988, è prodotto da Claudio Cecchetto ed è un successo clamoroso, ma i testi sono ancora in inglese. I testi in italiano arrivano l’anno dopo con La mia moto, album più variegato con alcuni episodi in cui il cantato può essere considerato rap.

«Bisogna farlo proprio adesso»: i Raptus

C’è chi ricorda però una tappa ancora precedente: un Ep dei Raptus, band bolognese, che nel 1986 pubblica con Attack Punk Records (la leggendaria etichetta dei Raf Punk, che produce anche i primi album dei CCCP) Peggio della colla, una sorta di rapcore che imita i Beastie Boys. Un tentativo divertente, indubbiamente naïf, ma che i Raptus (come è chiaro anche dal loro nome) presentano consapevolmente come rap: «Non c’è nessuno che faccia rap in italiano, per cui ci abbiamo pensato noi».

Curiosità: nel gruppo è presente Gaudi, musicista eclettico che parteciperà come Tubi Forti anche alla produzione di Stop al panico, canzone del 1991 dell’Isola Posse All Stars, il colletivo nato all’interno del centro sociale Isola nel Kantiere, in cui si ritrovano in fasi diverse alcuni nomi fondamentali del rap e del raggamuffin italiano anni Novanta, su tutti i membri dei Sangue Misto.

I Raptus durante un’esibizione

«Fuori zona»: i Truzzi Broders

Non è mai stata considerata però un’altra canzone che esce nello stesso anno, curiosamente con una sotto-etichetta dell’Attack Punk Records: Totò alle prese coi dischi. Si tratta di Disoccupato rappo dei Truzzi Broders, band di culto della scena torinese anni Ottanta, che scrive canzoni per raccontare la vita di quartiere o per parlare di temi politici, quasi sempre con un taglio molto ironico (tra i brani più seri spicca invece la meravigliosa Ti ho visto in piazza). Dopo la prima cassetta autoprodotta Yankees go home del 1984, i Truzzi Broders pubblicano nel 1986 il loro disco d’esordio, ’Nzalla, con l’etichetta bolognese. Musicalmente è un album rock piuttosto grezzo con qualche incursione nel blues e testi che dietro all’ironia parlano soprattutto di disagio sociale. Ma inaspettatamente include anche una canzone autodefinita “rap”: Disoccupato rappo per l’appunto (dove rappo è forse un adattamento scherzoso di rap più che la prima persona singolare del verbo rappare).

Si tratta davvero di rap? In realtà non proprio. O meglio, è un rap in stile Truzzi Broders, quasi una parodia della nuova moda musicale arrivata dall’America, ma è interessante che in un momento in cui non circolano dischi rap in italiano la band incida una canzone di questo tipo. La base ritmica è costruita su una drum machine martellante volutamente esagerata, su cui si inseriscono il basso e una chitarra elettrica distorta blues rock. La voce è una sorta di rap monocorde, cantato in italiano con un finto accento inglese (che ricorda un po’ gli Skiantos di Mi piaccion le sbarbine), alternato a incisi in lingua inglese: «Do you wanna dance?». Il testo parte con elementari rime desinenziali di participi passati in –ato e in –ito:

Alle sette meno un quarto mi sono svegliato
mi sono lavato
mi sono vestito
a fare colazione sono andato
sperando che mio padre fosse già uscito

Salvo poi lanciarsi in rime baciate più avventurose: «Ma eccolo che esce e mi fa gli occhiacci / era ancora a casa, li mortacci».

È la storia agrodolce di un ragazzo disoccupato che, costretto dal padre a cercare lavoro per mantenere gli studi dei fratelli, va all’ufficio di collocamento, dove dopo un’attesa infinita (che dà vita all’efficace ritornello: «Che numero c’hai? / Che numero c’hai? / Che numero c’hai? / Millecinquecentoventisei, all right») cerca di convincere gli impiegati che il lavoro adatto a lui sia il bluesman, prova a mettere su una band e, dopo aver accarezzato il successo grazie a «una tournée nei festival comunisti», si ritrova nuovamente disoccupato.

A livello musicale si tratta evidentemente di un divertissement (ai Truzzi Broders non è mai interessato sul serio fare rap), ma è curioso che la prima canzone rap incisa in italiano possa essere in realtà nata con un intento giocoso.

La copertina di “‘Nzalla” dei Truzzi Broders

Peggio della colla e Disoccupato rappo sono uscite entrambe nel 1986 e bisognerebbe indagare ulteriormente per capire quale sia stata pubblicata prima. Ma come specificato all’inizio dell’articolo non è affatto importante, sono un primo esperimento di Ep rap e una caricatura divertente, ancora piuttosto lontane dalla scena hip hop che verrà. È un pretesto però per rendere omaggio a chi, in modo diverso, ma pur sempre in anticipo sui tempi è andato in sala di registrazione a mettere su disco qualcosa di nuovo che stava iniziando a prendere piede nella scena musicale italiana.

NOTE:

1) L’idea balzana che Disoccupato rappo potesse essere la prima incisione rap in italiano mi è venuta lavorando a un documentario realizzato insieme a mio fratello Paolo sulla sgangherata storia dei Truzzi Broders e sulla Torino anni Ottanta, quando la città operaia entrava in crisi e nasceva la scena punk. Il film si chiama Una canzone senza finale e si può vedere in streaming gratuito qua.

2) Sulla storia del rap italiano c’è un’infinità di fonti, ma per chi vuole ascoltare un programma radiofonico divertente consiglio lo speciale di Note, cose, città su Radio Onda Rossa in occasione dei 50 anni del rap: questa e questa sono le puntate dedicate alla scena rap italiana.

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